Camillo Barrett,

appena sedicenne, fu volontario garibaldino nella campagna dell’Agro Romano – Mentana nel 1867 nel glorioso Primo Battaglione Bersaglieri Genovesi, comandato dal Colonnello Antonio Mosto, che di lui scrisse “Prese parte, sotto i miei ordini, alla campagna dell’Agro Romano, nel 1867, diportandosi sempre onorevolmente.”

Sul suo berretto garibaldino è infatti cucito il n 1, cioè il numero del battaglione comandato dal Col Mosto. Sempre nel 1867 prese parte alla tentata liberazione di Roma e per questo venne decorato e fu autorizzato a fregiarsi della medaglia.

A testimonianza dei nobili sentimenti che animavano l’allora ragazzo Camillo Barrett, merita di essere ricordata e letta la commovente lettera lasciata alla madre, Donna Palimira De Ribrocchi, amica di famiglia di Goffredo Mameli, prima della sua partenza come volontario garibaldino.

"Cara Madre,
come tu avrai potuto concepire, noi siamo partiti volontari.
Partiti da Voghera, alla sera di Domenica dormimmo a Stradella in una osteria e alla mattina, col treno delle 4 partivamo per Bologna e Firenze.
A Bologna furono arrestati diversi volontari, ma noi facendoci credere studenti che andavano a Pisa a prender esami, potemmo passare e giungere a Firenze. Sempre coi capelloni alle calcagna.
Credi, mia cara Madre, che il mio cuore mi ritenne indeciso d’abbandonare la mia famiglia e le mie uniche affezioni, ma il caso e la necessità della Patria così vuole!
Dunque addio! Domani partirò per il campo e tu perdona un fallo che poi non è colpa e se non potrò ritornare almeno che io muoia abbracciandoti in mente e col tuo perdono.
Addio dunque, sta allegra e non pensare a me perché sarebbe peggio.
Il Tuo Camillo"

Siamo nel 1867 e, tra i volontari in fermento a Firenze, spicca il nucleo pavese, guidato dai fratelli Eugenio e Giovanni Cairoli, e con loro Camillo Barrett, che all’alba del 25 ottobre prende parte all’assalto di Monterotondo.

Ma il 3 novembre, a Mentana, la battaglia è persa e Garibaldi viene arrestato e condotto a Caprera. Si contano 150 morti e 240 feriti fra i volontari, che al termine dello scontro vengono fatti prigionieri: tra questi Camillo Barrett, che sceglie la strada dell’esilio e si trasferisce a Montevideo, come molti altri volontari garibaldini.

Nella capitale uruguayana, dove resta per otto anni, entra nella redazione del giornale “L’Italia Nuova”, di ispirazione massonica. La sua fede negli ideali garibaldini non è venuta meno, ma solo nel 1876 i fatti lo spingono a rientrare in Italia.

Porta con sé la lettera in cui Giuseppe Anfossi, direttore de “L’Italia Nuova”, sottoscritta anche da Giacomo Biancheri e Olga Giodicini, componenti del comitato di redazione, che lo nominano corrispondente del giornale.

"Egregio Signore e Amico Camillo Barrett,
partendo Voi per l’Italia, ove intendete stabilire la vostra residenza, i sottoscritti proprietari-redattori del” Giornale d’Italia”, riconoscendo le vostre attitudini e la coltura vostra, approfittano ben di cuore l’opportunità per nominarvi speciale Corrispondente di detto Giornale alle già espresse e reciproche condizioni.
Augurandovi ottimo viaggio e prospere sorti, hanno l’onore di stringervi la mano e protestarsi vostri Devoti servi ed amici.

Giuseppe Anfossi, Direttore de L’Italia Nuova"

E’ il 1876, Camillo Barrett, ventisettenne, torna in patria, ma in quell’anno sono morti Vittorio Emanuele II e Papa Pio IX e le cose stanno cambiando molto rapidamente. Si inserisce nella vita imprenditoriale genovese, grazie anche all’incarico di Viceconsole della Repubblica Uruguayana e ben presto le sue attività si spostarono nel tortonese, terra d'origine, dove avrà un’intensa attività nella vita pubblica locale.

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